Da due stelle giganti un universo planetario simile al sistema solare
ROMA – La loro vita sarà molto breve, diversi miliardi di anni in meno rispetto al nostro Sole, ma probabilmente nello spazio che le circonda potranno avere un loro sistema planetario: mostruosamente enorme ma effimero. Dal telescopio spaziale Spitzer arriva un’altra affascinante scoperta che aggiunge un nuovo tassello alla conoscenza del cosmo. Lo strumento del Jpl (Jet propulsion laboratory della Nasa), che opera nell’infrarosso, ha identificato due stelle supergiganti, da 30 a 70 volte la massa solare, circondate da un enorme disco. Facendo un paragone con il nostro sistema solare, il disco intorno a R66 e R126 (questi i nomi dei due astri) si estenderebbe oltre l’orbita di Plutone. Gli astronomi e i fisici sono stati colti di sorpresa perché fino ad ora non si era mai rilevato un fenomeno del genere in stelle di questa grandezza. «E’ la prima volta che si osserva quello che forse è il momento di formazione del disco di un sistema planetario -ha commentato Enrico Flamini, responsabile per l’Esplorazione del sistema solare dell’ Asi, Agenzia Spaziale Italiana-. Ma ora sappiamo che ci sono anche altre classi i stelle che potenzialmente possono fare da fucina ai sistemi planetari ». R66 e R126 sono molto distanti da noi e la loro “speranza di vita“ è di qualche centinaio di milione di anni. Si trovano al di fuori della Via Lattea (la nostra galassia), sono all’interno della Nebulosa di Magellano. Quest’ultima si trova a 165.000 anni luce e a lungo è stata ritenuta la galassia più vicina sino al 1994 quando, a soli 80.000 anni luce di distanza, venne scoperta un’altra galassia: la Nana Ellittica del Sagittario. «La cosa che più di ogni altra mi colpisce -commenta Mauro Messerotti, astrofisico Inaf presso l’Osservatorio di Trieste – è che nei sistemi R66 e R126 sono state riscontrate tracce di molecole organiche. E’ davvero singolare trovare Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici, ndr) in ambienti del genere. Ora bisogna capire qual è la loro origine: sono state importate da altri ambienti o era materiale per così dire interno? Una risposta che non conosceremo tanto presto ma che apre sicuramente un nuovo orizzonte per l’astrobiologia ». Intanto oggi la ricerca condotta dal team guidato dallo statunitense Joel Kastener, del Rochester Institute of Technology di New,verrà pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Astrophysical Journal Letters”. Tra tanti dubbi, però, solo una certezza. Quando le stelle giganti esploderanno e diventeranno due supernova, il nostro Sole continuerà a riscaldare i suoi dieci pianeti per altri miliardi di anni.
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