Da Ian Anderson a Gerald Bostock «Io viaggiatore delle note»

Menestrello, istrione, cantante. Soprattutto un musicista a trecento sessanta gradi. Una vita scandita dal rintocco del metronomo e adesso, a 65 anni suonati, il suo motto resta sempre lo stesso: «Sono un viaggiatore delle  note».

Da tutti descritto come minuzioso, preciso e intransigente non smentisce questa sua natura anche quando ci dicono che chiamerà da Londra alle 9,20 in punto con orario di Greenwich. Inutile dubitare,Ian Anderson spacca il secondo.

Mister Anderson, a distanza di quaranta anni, è cambiato più lei o il protagonista di Tick as a Brick? «E’ cambiato il mondo e sono cambiato anch’io. Come Gerald Bostock ho preso diverse direzioni. Ma ora debbo pensare al resto della mia vita e concentrarmi su quello che sarà il mio futuro. Credo di avere ancora tante cose da raccontare».

Nel suo tour in Italia aveva scelto di fare solo tre date, poi all’improvviso Musicultura e Macerata, perchè?

«Quando me lo hanno proposto mi stavo lavando i capelli, e probabilmente non avevo ben capito.Però, scherzi a parte, ho scelto di fare questa ulteriore tappa, insieme ai nuovi Jethro Tull, perchè Musicultura ha un pubblico speciale fatto di veri estimatori,  gente che ama la musica nella sua purezza e nella sua essenzialità. Comunque a fine anno tornerò in Italia per altri concerti ».

Certo i suoi capelli non sono più quelli di trenta o quaranta anni fa…

«Sì, da tempo avevo capito che mi avrebbero lasciato. Però mi consolo pensando al fatto che gli uomini più ambiti sono proprio i calvi».

Torniamo alla musica, quella pura. Secondo lei c’è ancora Rock Progressive nella sua esperienza di autore del XXI secolo?

«Il Progressive non è mai morto, magari si è modificato. E poi va detto che non tutti lo possono comprendere».

E quindi come è cambiato il suo modo di fare musica rispetto agli anni ’70?

«Veramente non so ben rispondere. Posso solo dire che sono rimasto affezionato alla mia chitarra acustica, ai violini, al flauto. Li adopero come un pittore che usa i colori per dipingere la sua tela. Son cambiato? Non lo so,  quello che posso dire è che il mio rapporto  con le armonie musicali è estremamente naturale».

Quale è il disco che ama più di ogni altro?

«Senza dubbio Stand Up!, ma sullo stesso livello anche Aqualung, Tick as a Brick e A  Passion play. Sono i lavori dei miei anni migliori,quando stavo imparando a fare la musica ».

Musica e ancora musica: dopo averla esplorata in tutte le sue direzioni, passando anche attraverso l’esperienza dell’orchestra, cosa le manca?

«Mi piacerebbe suonare con un quartetto. E’ un sogno che accarezzo da tempo perché lo ritengo il ”luogo“ dei virtuosismi ».

Anche nei Jethro Tull tante formazioni, molti talenti, innumerevoli cambiamenti, perchè?

«Per la precisione i musicisti che si sono avvicendati, se non mi ricordo male, sono stati ben 26. Diciamo che sono stato, per dirla nel gergo calcistico, un buon commissario tecnico: ho scelto sempre i più bravi per ottenere i risultati migliori».

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dal 1986 al 1989 a Il Tempo e dal 1990 al 2022 a Il Messaggero, ora collaboratore presso Ultimabozza.it
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