Mai dire Deep Purple

Macerata – HANNO rappresentato il punto di riferimento musicale di un’intera generazione. Una carriera quarantennale in cui hanno venduto oltre cento milioni di dischi. Insieme a Pink Floyd, King Crimson, Led Zeppelin, Yes Genesis, hanno inventato le regole del sound degli anni ’70. Sono i Deep Purple, il gruppo inglese che lunedì (ore 21,30) scenderà nell’Arena dello Sferisterio. Tornano  in Italia a poche settimane dai concerti delle grandi città e, soprattutto, dopo il Pavarotti Friend’s. Ma attenzione a dire che rappresentano un mito, potrebbero prendersela a male. Parola di Ian Gillan, voce storica del gruppo, che elogia un altro mito… quello della normalità. «Mai avuto un body-guard, mai frequentato persone alla moda. Meglio gli amici. Meglio la campagna inglese. Quando c’è un concerto ci chiamano e noi andiamo».

Sì ma non è da tutti essere invitati di punto in bianco al Pavarotti  Friend’s

«Questione di punti di vista. Ad ogni modo per noi è stato un onore essere invitati dal più famoso tenore del pianeta e allo stesso tempo una sfida. Insomma una nuova opportunità. Conosco bene l’opera perchè mio nonno era un cantante non professionista. Alla fine, però, ebbe una malattia e diventò un boxeur »

Cosa si prova pensando che fra 50 anni sarete voi i Mozart, i Beethoven, i Bach della musica?

«E’ un problema che non mi  pongo. Vivo la mia vita giorno per giorno. Non mi sento un mito, sono una persona normale che ama portare a spasso il suo cane».

Beatles o Rolling Stones?

«Chi ama la musica non fa di queste distinzioni. Dipende dagli stati  d’animo. Ti svegli una mattina e hai voglia di cantare Let it be. In un’altra, invece, ami più fischiettare I can get’no sadisfaction».

Ma lei avrà pure delle preferenze?

«Quand’ero bambino ascoltavo Elvis Presley, Ray Charles. Poi ho imparato a suonare l’armonica. Non pensavo di arrivare a questi livelli e non avevo ambizioni musicali ».

Trova differenza tra i giovani che vi ascoltavano trent’anni fa e quelli di adesso?

«I ragazzi che ci seguivano negli anni  70 sono cresciuti e credo che ci ascoltino ancora. Sono convinto, visto il successo che ancora riusciamo ad ottenere, che ai ”vecchi”si sono aggiunti i giovani delle nuove generazioni. Solo un piccolo appunto: spesso i ragazzi  avanti alla musica mettono prima la moda del momento».

E il pubblico italiano?

«Fantastico, superlativo, super. Per noi ogni volta è una grande festa».

Il rock italiano?

«Non ho mai approfondito, ma so che ci sono ottime band che hanno fatto proseliti non solo a livello nazionale ma anche fuori i confini del vostro paese».

Com’erano i rapporti con gli altri gruppi di allora. Penso ai Genesis, ai King Crimson, agli Yes, ai Led Zeppelin. Vi  conoscevate?

«Nell’ambiente ci conoscevamo un po’ tutti, ma non ci frequentavamo. Ognuno aveva una vita a se’».

Rimpianti?

«Molti. Sia a livello personale che professionale. Ma sono un uomo che guarda avanti. Il passato è  passato».

E cosa ci dice del vostro ultimo album, Bananas?

«Lo so, sono di parte, ma la risposta è: sensazionale, un ottimo sound, l’album più interessante dei Deep Purple. So anche, però, che bisognerà aspettare dieci anni per confermarlo».

Ma ora, non vi sentite un po’ commerciali?

«No. Sono sincero. Davvero no. Siamo rimasti quelli di sempre. Senza grilli per la testa. Ora, ad esempio, le rivelo un’esigenza di una persona normale».

E quale  sarebbe?

«Ho fame. Non vedo l’ora di rientrare in casa per mangiare. Sono due giorni che rispondo alle interviste».

Un’ultima domanda: ci racconti un aneddoto, una curiosità, un momento particolare.

«A dire il vero ne avrei tanti. Però il ricordo più forte impresso nella mia mente risale al 1982. Un lungo concerto con i Black Sabbath, la festa più lunga della mia vita».

(Ha collaborato Franca Marcelli)

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dal 1986 al 1989 a Il Tempo e dal 1990 al 2022 a Il Messaggero, ora collaboratore presso Ultimabozza.it
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