Sorpresa dal pianetino Cerere: trovati i “mattoni” della vita
«Potrebbe essere un ambiente favorevole allo sviluppo della vita, anche se parlare di fenomeni precursori della stessa è un po’ azzardato. La ricerca va avanti, ma indubbiamente abbiamo fatto una scoperta straordinaria».
Maria Cristina De Sanctis, astrofisica dell’Inaf, è raggiante: è stata proprio lei, coordinatrice di un team di ricercatori, ad annunciare la scoperta ottenuta grazie alle osservazioni dello spettrometro italiano VIR che si trova a bordo della sonda Dawn della Nasa, uno strumento dell’Agenzia Spaziale Italiana.
(Maria Cristina De Sanctis dell’Inaf)
Ma di cosa si tratta, cosa ha scoperto effettivamente il team scientifico dell’Inaf? «Mai prima d’ora -ammette ancora la De Sanctis- avevamo avuto un’evidenza così marcata della presenza di molecole organiche alifatiche su un corpo celeste oltre la Terra da dati provenienti da missioni spaziali. Per questo la scoperta è importante: il nostro gruppo, che vede coinvolti molti colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica, ha individuato in modo inequivocabile su una ampia area della superficie di Cerere, pari a circa 1000 chilometri quadrati, la presenza di materiale organico. Tali composti possono essere considerati i “mattoni” che costituiscono molecole legate a processi biologici».
CERERE, CARTA DI IDENTITA’
Il pianetino ha un’orbita compresa tra Marte e Giove e si trova in quella zona denominata Fascia Principale degli asteroidi. Il suo moto di rivoluzione intorno al Sole dura oltre 4 anni e mezzo e si trova ad una distanza media dalla Terra di quasi 320 milioni di chilometri. Le temperature non sono poi così estreme: all’equatore si raggiungono i -25/-30 gradi centigradi, mentre le zone polari sono abbastanza gelide.«In ogni caso possiamo dire diverse cose -continua la ricercatrice dell’Inaf-, ovvero che Cerere ha una chimica molto interessante e non è assolutamente un corpo morto. E’ un oggetto in cui si sono formate recentemente anche delle montagne perchè, a quanto pare, ci sono al suo interno dei movimenti tettonici».
COMETE E ASTEROIDI
Ma perchè c’è una presenza così importante di molecole organiche? Gli astrobiologi hanno elaborato due ipotesi. La prima si concentra sugli impatti avvenuti sulla superficie di Cerere di corpi celesti ricchi di tali composti, oggetti tipo comete o asteroidi. Ma l’ipotesi più avvincente è un’altra: la formazione di molecole organiche potrebbe essere avvenuta direttamente sul pianeta nano e sarebbe il risultato di processi chimici innescati da attività idrotermale.
«La presenza di una grande quantità di molecole organiche -continua Maria Cristina De Sanctis- si concentra nella regione del cratere Ernutet, nell’emisfero Nord del pianetino». Il team italiano ora si sta concentrando nella ricerca anche in tutt’altra zona. Si vuole dimostrare che il materiale si è formato proprio sul pianetino e la scoperta, in altre zone, di altre molecole organiche, rappresenterebbe la ciliegina sulla torta.
FU SCOPERTO DA UN ITALIANO NEL 1801
A scoprire Cerere fu l’astronomo italiano Giuseppe Piazzi, esattamente il primo gennaio del 1801. «Avevo annunciato questa stella come una cometa -scriveva Piazzi nel suo Diario più di 200 anni fa-, ma poiché non è accompagnata da alcuna nebulosità, e inoltre il suo movimento è così lento e piuttosto uniforme, mi è venuto in mente più volte che potesse essere qualcosa di meglio di una cometa». Un pianetino, Cerere, appunto. L’oggetto celeste dalle mille sorprese.
IL TEAM
Nel team che ha condotto lo studio, pubblicato online sul sito web della rivista Science nell’articolo Localized aliphatic organic material on the surface of Ceres hanno partecipato, oltre a Maria Cristina De Sanctis, anche i ricercatori INAF Andrea Raponi, Eleonora Ammannito (University of California – Los Angeles e associata INAF), Mauro Ciarniello, Filippo Giacomo Carrozzo, Federico Tosi, Francesca Zambon, Fabrizio Capaccioni, Maria Teresa Capria, Sergio Fonte, Michelangelo Formisano, Alessandro Frigeri, Marco Giardino, Andrea Longobardo, Gianfranco Magni, Ernesto Palomba, Simone Marchi (Southwest Research Institute e associato INAF), insieme a Harry Y. McSween (University of Tennessee – Knoxville), Lucy-Ann McFadden (NASA Goddard Space Flight Center – Greenbelt), Carle M. Pieters (Brown University – Providence), Carol A. Raymond (Jet Propulsion Laboratory – Pasadena), Christopher T. Russell (University of California – Los Angeles).
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